Cappellacci con acquacotta in fonduta di pecorino

Cappellacci con acquacotta in fonduta di pecorino di Erica Bocchi

Pubblicazione: 27/05/2025

Ricetta Divin Mangiando 2024

Oggi voglio proporvi un’altra ricetta che ha partecipato al Divin Mangiando 2024 e che è stata molto apprezzata sia da me che dagli altri giudici perché Erica Bocchi, la sua creatrice, ha saputo coniugare, in questo suo primo piatto, tradizione e creatività: i Cappellacci con acquacotta in fonduta di pecorino.
Inoltre Erica con questo piatto ha voluto omaggiare anche le sue due nonne e le tradizioni dei loro luoghi di origine: la nonna Flora che, nata e cresciuta a Mantova, era bravissima nel preparare le paste ripiene per cui sulla sua tavola a Natale erano sempre presenti gli Agnoli in brodo ed i Ravioli di zucca.
Ed ha voluto rendere omaggio anche a nonna Gabriella, tarquiniese al 100%, che non ha mai voluto lasciare la propria terra natale e da cui ha imparato a cucinare l’acquacotta come da tradizione di questa città.
Il risultato è stato la realizzazione di una ricetta buonissima che ci ha conquistato per la sua semplicità ma allo stesso tempo per la perfetta combinazione tra i suoi ingredienti: la pasta fatta a mano si sposa magnificamente con la fonduta di pecorino ed il ripieno di acquacotta.
Questi Cappellacci con acquacotta in fonduta di pecorino sono un piatto originale ma che al tempo stesso tiene conto della migliore tradizione tarquiniese perché l’acquacotta, che costituisce la farcitura, è senza dubbio una delle ricette tipiche più apprezzate della nostra Tuscia, tanto da essere stata inserita, nel 2024, tra le nuove PAT del Lazio, come prodotto agroalimentare tradizionale di Tarquinia.
Sei pronta a prepararle con me?

Dettagli della ricetta

Persone:

4

Difficoltà:

Medio

Tempo di preparazione:

90 minuti

Strumenti necessari:

Tagliere, mattarello o macchina per la pasta, forchetta, coltello, pentola, pentolino, casseruola, frullatore, cucchiai, padella, colino.

Ingredienti della ricetta

  • cipolla grande:

    1

  • aglio:

    3-4 spicchi

  • patate medie:

    2

  • pomodori da sugo grandi:

    3

  • mentuccia:

    q.b.

  • olio evo:

    q.b.

  • pane casereccio:

    2 fette

  • farina 00:

    200 g

  • uova medie:

    3

  • panna o latte:

    250 ml

  • pecorino romano grattugiato:

    250 g

Procedimento

  • Fase 1

    Inizia a preparare l'acquacotta: monda la cipolla e tagliala a fettine sottili, falla soffriggere in una casseruola con un po' di olio evo e 3 o 4 spicchi di aglio in camicia, che dovrai togliere in seguito. Eventualmente puoi aggiungere anche dell’acqua per cuocere più velocemente la cipolla.

  • Fase 2

    In un’altra pentola, fai bollire dell'acqua salata e sbollenta i pomodori da sugo per circa 30 secondi/1 minuto, in modo da poter rimuovere facilmente la pelle. Io ne ho utilizzati 3 ma dipende dalla grandezza.

  • Fase 3

    Togli anche i semi, taglia i pomodori a dadini e tienili da parte.

  • Fase 4

    Dopo averle private della buccia, taglia le patate a dadini e, nella stessa pentola, sbollentale per circa 5-10 minuti o fino a quando non saranno diventate morbide. Tienile da parte.

  • Fase 5

    Una volta che la cipolla è ben cotta, unisci i pomodori e le patate, copri il tutto con un po' di acqua e fai cuocere per qualche minuto. Aggiusta di sale ed aggiungi la mentuccia, fresca o essiccata: il composto deve risultare brodoso ma non troppo.

  • Fase 6

    Disponi su un piatto le due fette di pane, precedentemente tostate in padella e sopra aggiungi l'acquacotta, aspettando che il pane assorba tutto il liquido.

  • Fase 7

    Una volta che il liquido si sarà assorbito, frulla tutto, pane compreso: il composto che ne uscirà, diventerà il ripieno per i cappellacci.

  • Fase 8

    Mentre aspetti che il liquido dell’acquacotta si assorba, inizia a preparare i cappellacci: fai una fontana di farina e rompi nel mezzo le uova, incorporandole piano piano.

  • Fase 9

    Impasta con le mani fino ad ottenere un panetto liscio, se dovesse risultare ancora duro, puoi aggiungere un tuorlo, e lascialo riposare per almeno 30 minuti.

  • Fase 10

    Dopo che avrà riposato, stendi la pasta, tagliala in quadrati regolari, inserisci in ognuno una pallina di ripieno e chiudili a cappellaccio.

  • Fase 11

    Per la fonduta: versa la panna in un pentolino e inizia a scaldarla a fuoco basso, poi unisci una parte di pecorino e mescola.

  • Fase 12

    Aggiungi poco alla volta il restante pecorino e continua a mescolare bene.

  • Fase 13

    Passa questo liquido al mixer per ottenere una consistenza liscia e senza grumi e, se necessario, aggiusta la consistenza con altro pecorino o panna.

  • Fase 14

    Puoi iniziare a cuocere la pasta: in una capiente pentola con acqua bollente salata, cala i cappellacci e scolali appena saranno saliti a galla.

  • Fase 15

    Disponili su un piatto di portata e, prima di servire, versa su ogni cappellaccio un cucchiaio della fonduta di pecorino.

Questi Cappellacci con acquacotta in fonduta di pecorino sono un piatto originale ma che al tempo stesso tiene conto della migliore tradizione perché l’acquacotta, che costituisce la farcitura, è senza dubbio una delle ricette tipiche della nostra Tuscia che negli ultimi anni è stata maggiormente rivalutata dai grandi chef, ricevendo, per questo, nel 2024, il riconoscimento come prodotto agroalimentare tradizionale di Tarquinia, il cosiddetto PAT.

Gara gastronomica Tarquinia

 

Che vino abbinare ai Cappellacci con acquacotta in fonduta di pecorino

Anche questa volta, come faccio per ogni mia ricetta, ho chiesto al mio amico Bruno Manfredini, sommelier al Ristòria Pepe Nero di Capodimonte sul Lago di Bolsena, quale vino potessi abbinare ai Cappellacci con acquacotta in fonduta di pecorino e lui, dopo aver letto la ricetta, mi ha consigliato il Tusco della cantina TreBotti. Un’azienda questa nata nel 2003 che si trova nel cuore della Tuscia e più precisamente a Castiglione in Teverina in provincia di Viterbo, al confine tra Lazio, Umbria e Toscana. A due passi quindi da Civita di Bagnoregio, la cosiddetta città che muore e dal lago di Bolsena il lago vulcanico più grande d’Europa; ed è proprio dalle eruzioni di questo lago che nascono i loro vini esplosivi.

Tutta la loro produzione è all’insegna della sostenibilità e si basa su una coltivazione dei vigneti biologica: i loro vini sono tutti 3S, ossia sostenibili senza solfiti, e provengono tutti da colture autoctone.

Il Tusco ad esempio è un Grechetto Rosso in purezza, un vino DOP anche detto il Sangiovese della Tuscia, perché considerato il suo clone locale. Nato da un  vitigno autoctono le cui uve vengono raccolte manualmente verso la fine di settembre, il Tusco ha un colore luminoso rubino intenso, brillante e compatto con sentori fruttati di sottobosco, ribes e mirtillo, che all’inizio vengono sovrastati da profumi di spezie dolci. Al palato si dimostra un vino gentile e finemente strutturato che viene sostenuto da un’ottima acidità mentre nel finale si scoprono dei tannini intensi ma morbidi. Infine è un rosso che rimane fresco e quindi molto adatto a questi cappellacci, perché, con le caratteristiche che ho appena elencato, è in grado di tenergli testa e di esaltare il loro sapore.

Acquacotta una tradizione che si perpetua

Sono convinta che cucinare l’acquacotta qui da noi sarà una tradizione che si perpetuerà per sempre. Anche le generazioni future di massaie tarquiniesi continueranno a preparare, per le loro famiglie, questo piatto che fa parte ormai del vissuto della nostra Tuscia.
Una ricetta quella dell’acquacotta tipica della Maremma e del Lazio settentrionale, una vasta area che comprende le province di Grosseto, Viterbo e Roma fino ad arrivare in Tuscia, una terra storicamente nota per la sua povertà rurale.
Un piatto di cui non esiste una ricetta originale, perché ogni famiglia ne possiede una propria.
Una zuppa che, presumibilmente, nasce nel Medioevo e che ha rappresentato per secoli il pasto quotidiano della gente della Tuscia, soprattutto di quella parte meno abbiente della popolazione. Inoltre era il pranzo dei butteri, i famosi cow-boys della Maremma tosco-laziale, quando portavano al pascolo le mandrie dei buoi ed anche quello dei taglialegna quando andavano nei boschi.
Una ricetta poverissima che ha sempre avuto due ingredienti fissi, l’acqua ed il pane ed a cui venivano aggiunti di volta in volta, per darle sapore, gli ingredienti che in quel momento una massaia conservava nella propria dispensa: patate, pomodori, pecorino, uova o anche piccoli pesci oppure rimasugli di carne ed ossa di prosciutto. E dove non poteva mai mancare la verdura di stagione, come la cicoria oppure i broccoli, e le erbe spontanee come la mentuccia, che noi a Tarquinia chiamiamo nepitella.
Un piatto nato quindi per i lavoratori più umili, come pastori, contadini o carbonai che, soprattutto nei periodi di assenza da casa, dovevano disporre di un pasto nutriente con ingredienti facilmente reperibili e che, contemporaneamente, avevano la necessità di ammorbidire e rendere appetibile il pane raffermo che si portavano da casa.

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