Pizza dolce di Tarquinia: storia e ricetta

Pubblicazione: 09/03/2023

Forno storico di Tarquinia

Quando si nomina la parola pizza, tutti pensano a quella napoletana, simbolo dell’Italia nel mondo. Secondo il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, con il termine “pizza” si intende “una focaccia di farina di grano o altro cereale, salata o dolce, per lo più di forma rotonda e piatta”. 
E’ certo comunque che la pizza fosse conosciuta già ai tempi degli Etruschi e lo dimostra il fatto che nel comune di Carbognano (VT) ancora oggi la pizza al forno viene chiamata “farolicchia”, con evidente radice etimologica proveniente da “farro”, il cereale più usato dal popolo etrusco.

Sono pochi quelli che, non essendo della Tuscia, conoscono la pizza dolce di Tarquinia. Quando si nomina la parola pizza, tutti pensano a quella napoletana, simbolo dell’Italia nel mondo. Secondo il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, con il termine “pizza” si intende “una focaccia di farina di grano o altro cereale, salata o dolce, per lo più di forma rotonda e piatta”. 

A questa definizione molto corretta bisogna aggiungere che stiamo parlando di una base di pasta lievitata, altrimenti correremmo il rischio di includere in questa categoria anche piadine e gallette. La pizza etrusca ha origini molto più antiche rispetto a quella napoletana: la parola pizza, a volte modificata in piza, pissa, pizzas, è stata trovata in alcuni documenti scritti in latino medioevale a partire dall’anno 997, la stessa che a Roma veniva chiamata “placentam”, focaccia, e “Placentari” erano nominati quelli che la vendevano: secondo la leggenda, di questi venditori se ne trovarono raffigurazioni anche nella tomba etrusca Golini.

E’ certo comunque che la pizza fosse conosciuta già ai tempi degli Etruschi e lo dimostra il fatto che nel comune di Carbognano (VT) ancora oggi la pizza al forno viene chiamata “farolicchia“, con evidente radice etimologica proveniente da “farro”, il cereale più usato dal popolo etrusco. I vari tipi di pizza iniziarono a diffondersi dopo il medioevo e c’era l’usanza di utilizzare per la loro preparazione delle teglie di ferro che nel Centro Italia venivano usate anche per cucinare il “sanguinaccio” ed il “castagnaccio”, entrambi, come la pizza, a base di composti liquidi. 

Nel libro “L’Arte della Cucina in Italia, libri di ricette e trattati sulla civiltà della tavola dal XIV al XIX secolo”, Vincenzo Agnoletti ci tramanda la ricetta di una pizza di ricotta dell’epoca dove il ripieno veniva preparato con ricotta, zucchero, cannella, canditi e uovo e ricoperto con un altro strato di pasta.

Nella nostra zona così ricca di olio veniva preparata in casa in forma semplice o ricoperta con lo zucchero per risolvere rapidamente il problema del pasto quotidiano oppure con un impasto a base di una pastella di acqua e farina con l’aggiunta di vari ingredienti, dolci o salate, che, a Viterbo venivano chiamate “pizzacce” mentre in Tuscania “diomeneguardi“.

Solitamente in quelle salate si aggiungevano pezzi di cavolfiore, fiori di zucca o di altri ortaggi a piacere mentre nelle pizze dolci si usavano l’uvetta sultanina, o zibibbo, lo zucchero e la cannella. Da questi primi esperimenti nacquero le prime “pizze in teglia”, alla cipolla, al rosmarino e quelle dolci preparate con le patate, la cannella e lo zucchero.

A questa pizza dolce venne dedicato a Viterbo anche un ritornello che oggi solo le persone anziane ricordano ancora:

Tiritalla, tiritalla,

‘l prete sona e la serva balla.

Pe’ nun fasse cojonà,

pure ‘l prete se mise a ballà

Tiritalla, tiritalla

morirà senza assaggialla ………

la pizza col zibibbo calla, calla. 

Come preparare la pizza dolce di Tarquinia

La Pizza dolce a Tarquinia può essere preparata in diversi modi, una prima ricetta prevede solo l’utilizzo di zucchero e cannella a cui si può aggiungere, per farne una versione più ricca, la ricotta oppure le patate. Come ho accennato sopra, questa pizza è l’evoluzione di quella che in passato si preparava usando farina di mais oppure gli avanzi della polenta del giorno prima, o ancora quando cuocevano le patate, ne lasciavano un pò da parte per preparare questo dolce povero ma che accontentava tutta la famiglia.

Ogni nucleo familiare cucinava una sua ricetta e, quella fatta con gli avanzi di polenta, si preparava ammorbidendoli nell’acqua fino a renderli cremosi poi, dopo aver aggiunto uvetta e zucchero, si disponevano nella teglia condendoli in superficie, se le finanze di casa lo permettevano, ancora con zucchero, cannella ed olio di oliva.

Oltre a questa ed a quella semplice con zucchero e cannella, in alcune abitazioni se ne preparava una versione con la ricotta oppure con le patate. A Tuscania ed a Tarquinia la pizza dolce con zucchero e cannella veniva chiamata “Diomeneguardi”, termine oggi forse un po’ ridicolo ma che, in quell’epoca, dove la semplicità dei gusti era adeguata alla povertà delle risorse, voleva esprimere solo un particolare apprezzamento per questa pizza.    

Per quanto riguarda la ricetta base ecco come si prepara:


Ricetta pizza dolce con zucchero e cannella 

Ingredienti:

  • 400 g di farina 00
  • 10 g di lievito
  • 200 g circa di acqua
  • zucchero q.b.
  • cannella q.b.
  • ½ cucchiaino di sale
  • olio evo 

Preparazione:

  1. Metti in una ciotola la farina e il lievito sbriciolato, aggiungi l’acqua un poco alla volta e verso la fine unisci anche il sale.
  2. Lavora l’impasto fino a renderlo sodo ma elastico, versa in una ciotola dell’olio e poi aggiungi l’impasto, coprilo con la pellicola e lascia lievitare.
  3. Quando ha raddoppiato il suo volume, spianialo su una teglia già unta di olio evo, mescola lo zucchero con la cannella e spargi questo composto sopra la pasta in modo uniforme.Irrora con un filo di olio e mettilo in cottura nel forno elettrico a 200/ 250°C fino a doratura.

Come dicevo prima, questa pizza dolce è possibile prepararla anche con la ricotta oppure utilizzando le patate.

Nel primo caso, dopo aver lavorato 300 gr di ricotta con 5 cucchiai di zucchero e un tot di olio in modo tale che diventi cremosa, si versa questo composto sull’impasto spianato nella teglia e, prima di infornarla, la si spolverizza con il solito mix di zucchero e cannella e un filo di olio.

Per quanto riguarda la variante con le patate, ne esistono tantissime ricette, io preferisco quella più semplice come la preparavano le nonne che non utilizzavano uvetta e pinoli perché costavano troppo e quando preparavano gli gnocchi lasciavano un pò di composto da parte e ci facevano la pizza. 

Essendo una ricetta casalinga, però le versioni che si tramandano sono tante, c’è chi lessa, per esempio, 5 patate medie, le schiaccia, come a voler fare un purè, e le ingloba a circa metà quantitativo di farina della ricetta base, fino ad ottenere un impasto morbido oppure chi invece utilizza, come da tradizione di famiglia, solo le patate senza farina.

In entrambi i casi è indispensabile che l’impasto steso nella teglia ben unta non debba superare un 1 cm di altezza, come se fosse una pizza napoletana e viene sempre ricoperta con lo zucchero semolato, una spolverata di cannella e un poco di olio. 

Si inforna per 35-40 minuti a 180°C fino a cottura e può essere gustata sia calda che fredda.

I forni storici dove mangiare la pizza dolce a Tarquinia

Fino agli anni 80 erano ancora molti i forni all’interno delle mura di Tarquinia dove poter mangiare questa pizza dolce.

E’ importante citare questi locali storici perché nella nostra Tuscia la pizza è sempre stata intimamente legata alla lavorazione del pane, in quanto veniva preparata con la stessa pasta. Subito prima di infornare il pane, quando le “fascine” ardenti avevano riscaldato le pareti del forno, si toglieva la brace, da cui si ricavava poi la “carbonella”, con un attrezzo di ferro chiamato “tirabrace”, quindi si puliva il piano del forno con la scopa o con uno straccio legato ad un bastone, chiamato “smondolo”, ed infine, con l’apposita pala, si introducevano le pizze direttamente sul piano del forno.

Tanto tempo fa nella zona esisteva anche una figura femmininile detta “carreggiatora”, che aveva proprio la funzione di prendere le varie forme di pane nelle singole case e le portava al forno per farle cuocere a cui spettava, come compenso per questa prestazione, una porzione di pasta, con la quale poi lei stessa preparava delle pizze che rivendeva direttamente nei locali del forno. 

Questa pizza, definita “rustica” perché sulla superficie inferiore presentava residui di cenere e pezzettini di carbone, in ogni piccolo comune veniva chiamata in maniera diversa, ho già detto di Carbognano dove veniva appellata “la farolicchia”: a Montefiascone era la “ciarla” o la “farvola”, a Corchiano la “pizza a fallera”, a Bomarzo la “pizza straccia”, a Canepina la “pizza a strato”, a Bagnaia, Ronciglione e Valentano la “pizza strascinata” mentre in Tuscania veniva chiamata la  “pizza a rocchio”, derivante forse dal latino “ad rotolum”, rotella o piccola ruota, a testimoniare la forma piatta della pizza.

Nel tempo purtroppo tutti i forni storici all’interno della città di Tarquinia hanno chiuso, l’unico ancora in vita è il Panificio Parmigiani, chiamato anche delle vedove, in quanto, come ci racconta l’attuale proprietaria Lilli, sua madre e sua zia, che lo gestivano prima di lei, avevano perso i mariti molto presto, entrambe prima dei 30 anni. Tra i forni artigianali all’interno del centro storico dove ancora oggi è possibile comprare la pizza dolce, oltre alle Vedove, troviamo Mada ex forno Lodi mentre all’esterno del centro storico ci sono il Fornaretto, il Chicco di grano ed il forno di Pizzinelli ex Vinci.

il forno delle vedove

Se vuoi conoscere la storia della pizza ti consiglio di leggere l’articolo di Gioia Barbieri nel sito di AIFB

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