Fettuccine di pane alla gricia con carciofi

Fettuccine di pane alla gricia con carciofi

Pubblicazione: 27/04/2023

Ricetta per la giornata della ristorazione

Ricetta delle Fettuccine di pane alla gricia con carciofi e pane giallo di Allumiere come contributo alla giornata nazionale della ristorazione indetto dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi, con l’obiettivo di promuovere e valorizzare il ruolo della gastronomia italiana.

La ricetta delle Fettuccine di pane alla gricia con carciofi è il mio contributo alla giornata nazionale della ristorazione Indetto dalle Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi. Questa giornata è un’iniziativa che ha come obiettivo quello di promuovere e valorizzare il ruolo della gastronomia italiana. 

Moltissimi  ristoratori di tutta Italia partecipano a questa giornata, dedicando un loro piatto all’argomento scelto: il pane. Il piatto cucinato avrà quindi il pane come ingrediente della preparazione. 

Ti consiglio quindi di andare a visitare uno o più ristoranti che partecipano a questa giornata della ristorazione, potrai toccare con mano ed assaggiare gli infiniti modi nei quali viene declinato il pane in cucina ma soprattutto contribuirai anche tu all’iniziativa di Charity, visto che tutto l’incasso sarà devoluto alla Caritas.

Nella mia ricetta ho voluto parlarti di sostenibilità e di cultura da preservare, per questo ho scelto di preparare delle lasagne di pane utilizzando il Pane Giallo di Allumiere presidio Slow Food. 

Ingredienti

  • 100 g di pane raffermo mollica grattugiata di pane giallo di Allumiere
  • 180 g di farina 00,
  • 30 g di farina integrale di Valentini,
  • 1 uovo grande,
  • 50 g di acqua.

Per il condimento 

Le lasagne possono essere condite con qualsiasi condimento, anche solo con un filo di olio,  parmigiano o pecorino ma per questa mia ricetta, che parlasse della mia Tuscia, ho voluto reinterpretare la Gricia, utilizzando i carciofi romaneschi di stagione ed il guanciale della norcineria di Coccia Sesto.

Ingredienti per il condimento:

  • 4 carciofi romaneschi di Alessio Barucca,
  • 4 fette di guanciale della norcineria Coccia Sesto,
  • 8 cucchiai di pecorino (ma puoi fare anche a metà con il parmigiano),
  • 5 grani di pepe affumicato,
  • 2 grani di pepe,
  • Olio evo.

Preparazione

  1. Taglia a cubetti il pane raffermo e tritalo.
  2. Aggiungilo in una ciotola alle farine, l’uovo e l’acqua ed impasta,  se occorre metti un altro pochino di acqua.
  3. Lavora e rendi omogeneo l’impasto, lascialo riposare coperto per circa 30 min.
  4. Riprendi l’impasto e stendilo con il mattarello ad uno spessore di 3 mm, puoi utilizzare la macchinetta,
  5. Ritaglia la pasta per le fettuccine.
  6. Prepara l’acqua per cuocere la pasta.
  7. Taglia il guanciale a listarelle e cuocilo in una padella senza olio, appena è rosolato, scolalo, mettendolo in un piatto.
  8. Pulisci i carciofi, tagliali a fettine e cuocili nella stessa padella dove hai appena scolato il guanciale, così da utilizzare lo stesso grasso. Dopo 15 min, se i carciofi sono cotti, toglili dalla padella.
  9. Prepara la crema di pecorino: in una ciotola aggiungi il pecorino o i due formaggi e stemperali con l’acqua tiepida, formando una cremina.
  10. Prendi i grani di pepe e versali in una padella, fai scaldare bene, tritali con il pestello e aggiungine una parte alla crema di formaggio.
  11. Metti a cuocere le fettuccine.
  12. Scola quando sono cotte e versale nella padella, aggiungendo i carciofi, il guanciale e la crema di pecorino, manteca e impiatta.
  13. Decora con qualche pezzo di carciofo e di guanciale, che avrai tenuto da parte, il pepe e il pecorino grattugiato.
     

Se fossi un ristoratore, portandoti a tavola il piatto ti avrei spiegato ogni ingrediente utilizzato, ma sono una cuoca vagabonda che naviga a terra come online, quindi non mi rimane che raccontarti in poche righe perché ho scelto proprio questi!

Pane Giallo di Allumiere

Il pane Giallo di Allumiere, detto anche pane Giallo della Tolfa, è un pane della tradizione laziale che risale al tempo di Papa Leone XII (1760-1829) il quale, una volta reso autonomo questo comune nel 1825, incoraggiò, al suo interno ed aperti a tutta la popolazione, la nascita di numerosi forni a legna per la lavorazione del pane: ancora oggi in questa cittadina esiste ed è funzionante un forno a legna risalente al 1870. 

Per chi non lo sapesse, Allumiere è in provincia di Roma e si trova sui rilievi dei monti della Tolfa a 522 metri di altitudine sul livello del mare, viene chiamata così per la presenza nella zona di alcune miniere di allume di rocca, scoperte da Giovanni da Castro nel 1462, che permisero, sotto Papa Pio II, di finanziare la guerra contro i turchi.

Il pane giallo di Allumiere oggi è diventato un esempio di biodiversità a livello internazionale e nel 2022 ha rappresentato il Lazio nel Salone del Gusto di Torino, una delle più importanti kermesse internazionali sul cibo.

Attualmente il Pane Giallo di Allumiere lo si può trovare in vendita nei panifici artigianali di Allumiere ed in quelli del Comune di Tolfa ma sono molte le massaie del luogo che lo preparano a casa. Come dice il suo stesso nome, questo pane è caratterizzato dal colore giallo della sua mollica a grana fine, a cui si accompagna un persistente profumo di cereali di produzione biologica, dovuto all’utilizzo di grano duro, il cosiddetto Triticum durum.

Viene preparato con semola rimacinata, per aumentare la finezza della grana, che viene mescolata con acqua e lievito naturale di produzione aziendale, senza aggiungere sale: sia nei forni che quando viene cucinato a casa, si utilizza nella preparazione il lievito madre, ottenuto da una pasta acida del giorno prima, che viene lasciato a fermentare per una notte intera. Questo impasto poi, a base di semola di grano duro, acqua e lievito naturale, viene miscelato per venti minuti a bassa velocità. Dopo avergli dato una delle due forme tipiche, il pane viene messo a lievitare su delle tavole di legno e ricoperto con dei teli di lino o di cotone, con un tempo di lievitazione di circa 2 ore a temperatura ambiente.

Questo pane giallo, che si presenta con una forma di pagnotta rettangolare e piatta, solitamente si prepara in due pezzature: come un’unica pagnotta quadrata o leggermente arrotondata oppure in “coppia”, come viene chiamata in dialetto allumierasco, in quanto nasce da due pagnotte accoppiate e per questo ha un peso doppio. Viene cotto per circa un’ora in un forno a legna di castagno, dove viene preparato lo “sbracio”, ossia la distribuzione della cenere sul pavimento del forno, che viene asportata poi con il “mondelo”, un bastone di legno a cui si arrotola un canovaccio bagnato per eliminare la polvere e la cenere residua.  

Purtroppo oggi il Pane Giallo di Allumiere viene prodotto solo dai panifici storici della zona e viene considerato un prodotto alimentare in via di estinzione; per questo motivo è stato inserito nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) e tutelato dalla Fondazione Slowfood.

Caratteristiche del carciofo romanesco 

Il carciofo romanesco del Lazio IGP, noto anche come cimarolo o mammola, è per le sue caratteristiche una delle varietà migliori di carciofo e per questo ha anche ricevuto il riconoscimento dell’indicazione geografica protetta nel novembre del 2022.  E’ l’ortaggio fresco ottenuto dall’inflorescenza di una pianta appartenente alla specie di “Cynara scolymus L.” che viene raccolta immatura e che a sua volta deriva dalle cultivar “Castellammare” e “Campagnano”.

Il Carciofo Romanesco del Lazio IGP è di grandi dimensioni, con capolini quasi tond e, con un colore che va dal verde al violetto: il capolino centrale, chiamato appunto “cimarolo” o “mammola”, che può raggiungere i tre etti di peso, è caratterizzato da una forma sferica, compatta e con un diametro superiore a 10 cm.

Priva di spine e di peluria interna, rispetto ai capolini laterali, questa parte centrale risulta essere la più ricercata, perché molto tenera e dal sapore dolce. Questa tipologia di carciofo viene allevata in un solo carduccio per pianta, a cui sono vietati i trattamenti con fitoregolatori; la raccolta, che inizia a gennaio e può protrarsi fino a maggio, si effettua a mano, tagliando obliquamente i gambi a circa 15-18 cm dal terreno. Il periodo ottimale per raccoglierli è quello compreso tra inizio marzo e fine aprile, perché, così facendo, si impedisce la formazione di una eccessiva peluria interna all’inflorescenza, mentre in commercio lo si può trovare da metà febbraio a maggio in confezioni sigillate ricoperte con rete di plastica oppure in mazzi avvolti con una fascia.

Il carciofo ha una lunga tradizione, questo ortaggio è infatti presente da tempo immemorabile nella cultura gastronomica e rurale delle popolazioni del centro Italia.

Era noto già nell’antichità, ne parla infatti Plinio Varrone e secondo Columella, un agronomo romano del primo secolo avanti Cristo, il terreno che ospitava le piante di carciofo veniva cosparso di cenere, da qui il nome scientifico di Cynara scolymus.

Per una sua diffusione capillare bisogna aspettare, però, il XV° secolo quando se ne hanno notizie certe nella zona di Napoli dove fu introdotto da Filippo Strozzi e successivamente si diffuse anche in Toscana e nelle altre regioni.

Fino agli anni ‘30 la sua coltivazione fu limitata agli orti familiari; solo dopo la seconda guerra mondiale il carciofo cominciò a diffondersi con sorprendente rapidità in tutte le regioni centro-meridionali della Penisola, anche se è nel Lazio che si sono sviluppate le cultivar più pregiate. La zona di produzione del Carciofo Romanesco IGP nella nostra regione è circoscritta ad alcune aree delle province di Viterbo, Roma e Latina ed i comuni più importanti in cui viene coltivato sono quelli di Montalto di Castro, Canino, Tarquinia, Allumiere, Tolfa, Civitavecchia, Santa Marinella, Campagnano, Cerveteri, Ladispoli, Fiumicino, Roma, Lariano, Sezze, Priverno, Sermoneta, Pontinia. 

Alcune di queste località, ogni anno, organizzano anche delle manifestazioni per promuovere questo ortaggio e le più conosciute sono la Sagra di Ladispoli, in provincia di Roma e quella di Sezze a Latina.

Come tutte le altre varietà di carciofo anche quello romanesco è un prezioso alleato del benessere in quanto contiene molti sali minerali, sodio, potassio, fosforo e calcio, le vitamine C e K e il principio attivo della “cinarina” che facilita la diuresi e la secrezione biliare.

Il carciofo, è un ortaggio molto versatile in cucina e se una volta veniva ritenuto solo un contorno per accompagnare carne o pesce, con le nuove tendenze vegetariane, ne è diventato un’ottima alternativa.

I carciofi è preferibile consumarli appena acquistati ma possono essere conservati in frigorifero anche per alcuni giorni: se sono giovani, e quindi anche teneri, è possibile mangiarli anche crudi, tagliati a fettine e conditi con olio, limone e qualche fogliolina di menta, magari accompagnandoli con scaglie di pecorino o parmigiano.

Quando preparo i miei piatti, il mio fornitore di fiducia, per il Carciofo Romanesco e per tutti gli altri prodotti ortofrutticoli, è Alessio Barucca che, con la sua azienda agricola, si trova qui a Tarquinia in località Portaccia Lance, a meno di 1 km dal mare. Alessio è un giovane imprenditore che  fa parte di slow food, segue la loro filosofia  e “coltiva la sua passione a km 0”, andando su e giù per i suoi campi, spinto dall’amore della Terra e dal desiderio di inseguire i propri sogni e gli obiettivi che si è prefissato.

Mi rifornisco da lui perché apprezzo la filosofia con cui lavora i suoi campi, infatti uno dei suoi motti che più condivido è che “l’agricoltura è l’arte di saper aspettare” e un altro è che il bravo agricoltore è quello che “deve avere pazienza, lavorare duramente e deve soprattutto rispettare le stagioni e non imprecare contro i temporali”. 

Guanciale della Norcineria Coccia 

Un altro dei miei fornitori storici da cui acquisto i salumi per le mie ricette, tra cui il guanciale, è la Norcineria Coccia Sesto che si trova a Viterbo.

Il guanciale, detto anche goletta o gota, come dice il suo stesso nome, è quel taglio di carne suina che si ricava dalla guancia e da una parte della gola del maiale e che gli dona quella sua classica forma a triangolo. E’ un salume che contiene sia una parte di magro costituita dai muscoli e che formano le caratteristiche venature, sia una parte grassa molto pregiata.

Si ottiene macellando un maiale che deve avere almeno 9 mesi di età; il guanciale viene poi salato manualmente e ripetutamente per 4 o 5 giorni, a cui poi vengono aggiunte delle spezie come pepe e peperoncino, qui nel Lazio si usa mettere anche l’aglio. Si procede infine, prima all’asciugatura e poi alla stagionatura in cantina, che dura circa 2-3 mesi. 

Il guanciale che viene prodotto ad Amatrice e in Abruzzo prevede anche una leggera affumicatura che si ottiene mettendo il salume vicino ad un fuoco costituito da legno di faggio o di quercia.

Fino a qualche anno fa, la guancia del maiale veniva ritenuta uno degli elementi di scarto di questo animale, una parte ritenuta di ultima categoria ma che col tempo è stata riscoperta per il suo sapore e si è rivelata l’ingrediente ideale per moltissimi piatti tipici, fino a diventare un simbolo di Roma e della gastronomia locale.

Chi non è romano, per preparare ricette come la carbonara, l’amatriciana o la gricia, tende a sostituire il guanciale con la pancetta, che è il taglio di carne ricavato dal ventre del maiale ed ha una lavorazione ed una stagionatura completamente diversi, commettendo quello che i romani considerano un sacrilegio: oltre ad avere un grasso di maggior pregio, la consistenza del guanciale infatti, rispetto alla pancetta, è più dura ed ha un sapore più intenso e aromatico. 

Purtroppo però non è un salume che si può consumare tutti i giorni, deve essere utilizzato con parsimonia in cucina perché ha dei valori nutrizionali molti alti e bisogna fare attenzione al colesterolo e alle calorie: è un alimento ricco di lipidi e di sodio, povero di proteine e privo di carboidrati e fibre ma possiede ottime quantità di vitamina B1, B2 e PP.

Il guanciale nel corso degli anni è diventato un salume iconico della nostra Penisola, viene prodotto in quasi tutte le nostre regioni e lo si trova ovunque, nelle aziende agricole e nella grande distribuzione. Questo però non è sempre sinonimo di qualità ed è per questo che mi rifornisco nella Norcineria Coccia perché conosco il loro modo di lavorare e quanto sono attenti ai dettagli ogni volta che procedono alla macellazione di un loro maiale.

Come mi ha spiegato più volte Simonetta Coccia, una delle 3 sorelle che hanno ereditato l’azienda e soprattutto la passione da papà Sesto e che ricopre anche la carica di assaggiatore professionale di salumi Onas (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Salumi), un guanciale per essere di qualità deve essere ricavato da un animale che deve possedere determinati requisiti, a cui il loro salumificio, come tutti quelli che hanno a cuore l’eccellenza di questo prodotto, è particolarmente attento. La razza migliore per avere un guanciale di qualità è la Large White, che è la più diffusa e allevata in Italia e pesa 160 chili; l’esemplare deve godere poi di buona salute, essere alimentato correttamente ed in modo sano e soprattutto è necessario che venga macellato secondo determinati criteri, evitando stress e dolore. E’ un dato di fatto infatti che la sofferenza nel momento in cui l’animale viene ucciso porta all’irrigidimento dei muscoli e al conseguente restringimento delle vene così da rendere le carni immangiabili e che, in fase di lavorazione, non sarebbero in grado di recepire né il sale né gli aromi.

Inoltre è indispensabile che abbia una stagionatura di almeno 60 giorni per cui va tastato al momento dell’acquisto e va constatato che il dito penetri solo un minimo in profondità, perché se risulta particolarmente molle vuol dire che è poco stagionato. Altri requisiti qualitativi sono il colore, che deve essere rosa, e l’odore percepito, dopo averlo lasciato a temperatura ambiente per 30 minuti. I sentori che certificano un prodotto di qualità sono quelli prima del pepe e poi dell’aglio mentre se si percepisce l’odore della carne sia quando il guanciale è crudo oppure è in cottura, allora vuol dire che la macellazione dell’animale non è stata corretta e che non gli è stato evitato lo stress nel mattatoio. Infine c’è il momento dell’assaggio: dopo averlo scaldato, si dovranno percepire sentori di nocciola, di tostatura e una buona masticabilità.

Tutti requisiti che il guanciale della Norcineria Coccia possiede.

 

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